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Forno della calce in frazione Merletti
Lo sfruttamento delle risorse naturali era una delle peculiarità della vita contadina.
Nell'edilizia, il legno e la pietra furono materie prime indispensabili per le costruzioni e la calce ne fu uno dei componenti primari.
Trovata la cava di minerale calcareo (carbonato di calcio), a sinistra del rio Fornace in regione Merletti, si rese necessaria la costruzione di un forno che fosse in grado di trasformare il calcare in calce viva e successivamente in malta per legare i materiali edili.
La struttura in pietra fu predisposta in forma circolare, i cui muri perimetrali la circondavano per interrompersi solo alla sua imboccatura.
Il forno era alimentato, attraverso quest'apertura, alla base della facciata esterna ed il calore prodotto s'incanalava all'interno di un tronco di cono il cui diametro era di cm. 270 alla base maggiore e di cm. 200 alla base minore per un'altezza di circa m. 3.
Il materiale calcareo veniva introdotto dall'alto nel tronco di cono fino ad un'altezza di circa cm. 70 dalle braci ardenti.
Il calore sprigionato da tre giorni e tre notti di fuoco continuo (circa 800/1000°), per il quale occorrevano 12 tese di legna (q. 240/250), forniva circa q. 120/130 di calce viva (ossido di calcio). Il materiale veniva lasciato raffreddare e successivamente trasportato con gerle da donne fino alla strada Acquabianca - Alagna, prima sterrata e poi carrozzabile, per essere inviato nei luoghi di costruzione.
La calce quando usciva dal forno era tutta in blocchi e, per la sua fusione ed utilizzo, occorreva un procedimento particolare solitamente eseguito da una persona molto esperta che ne ottimizzasse il rendimento.
I massi di calce viva venivano depositati in un cassone di legno della lunghezza di circa m. 2/3, di larghezza di circa cm. 150 con sponde di altezza di cm. 20/25.
Uno dei due lati era a forma di cuneo con all'estremità una paratia.
Sui blocchi di calce viva si spruzzava, con sapiente dosaggio, dell'acqua affinché questi, lentamente, si sgretolassero. A contatto con l'acqua deventava calce spenta (idrossido di calcio).
Terminata questa fase si aggiungeva altra acqua e, con un apposito attrezzo denominato "licciaiola" o più volgarmente "passa-malta", si riduceva tutto ad una densa poltiglia chiamata "grassello".
La fusione era terminata e la calce pronta per l'uso.
Per la sua conservazione veniva approntata all'estremità del cassone a cuneo una fossa in cui, aprendo la paratia, si faceva colare all'interno.
Ricoperta di terra, per evitarne l'indurimento dovuto al sole ed all'aria, la calce si conservava per lunghissimo tempo, anche per anni.
In caso di necessità si scopriva parte dello strato e si prelevava il solo quantitativo desiderato, avendo cura di ripristinare la protezione.
Impastando il grassello con acqua e sabbia si otteneva la "malta", essenziale per legare i materiali da costruzione.
II forno della calce reca impresse due date: 1867 e 1922.
Nell'anno 1922 fu utilizzato per l'ultima volta in occasione dell'edificazione della villa di Enrico Grober, eseguita, per espressa volontà dell'ordinante, con soli materiali di provenienza alagnese.
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